«Chiediamo giustizia, non vendetta». A parlare, fuori dalla camera mortuaria allestita al Policlinico di Tor Vergata a Roma, è il fratello di Emanuele Morganti, il ventenne pestato a morte ad Alatri, in provincia di Frosinone. «Mio fratello era un angelo ed è inspiegabile come l’hanno ridotto». Ma vediamo come la fidanzata Ketty, rivivendo l’orrore di quella sera, racconta ciò che è successo. «Era tornato dal lavoro, aveva fatto la doccia ed eravamo andati in discoteca. Volevamo solo passare un venerdì sera con la musica e gli amici». Racconta che lo hanno massacrato di botte fuori da un locale la notte tra venerdì e sabato. L’agguato sarebbe scaturito da una lite degenerata in una maxi rissa. Tutto è nato per difenderla dagli apprezzamenti eccessivi di un coetaneo albanese o, forse, perché a quest’ultimo Emanuele aveva inavvertitamente preso il drink.
Futili motivi, insomma. Ma, come hanno raccontato i testimoni, è bastato perché una ventina di persone in tutto, si infiammasse: lo hanno atteso e circondato, quindi colpito a calci e pugni e, infine, il colpo di grazia dato con un cric. “I troppi colpi, violentissimi – si legge sul Corriere della Sera – hanno devastato la testa e il volto del ventenne, provocato fratture craniche e cervicali, al punto da renderlo quasi irriconoscibile. Tanto da far pensare a qualche suo amico intervenuto dopo l’aggressione che in realtà il giovane fosse stato travolto da un’auto”.
Dove siamo finiti? E’ possibile che un ragazzo non possa neanche prendere le difese della propria fidanzata, in caso di apprezzamenti troppo spinti, e debba stare attento a non finire per terra in mezzo ad una strada in centro città con il cranio devastato? Ciò che mi innervosisce maggiormente è la meschinità di questi aggressori: venti contro uno. Non riesco a trovare le parole giuste per descrivere il ribrezzo che mi fanno provare questi animali. Sì, animali, non c’è altro sostantivo per descrivere chi è capace di un’azione del genere.